
La storia è quella di Re Giorgio VI d’Inghilterra che dopo la morte del padre (Re Giorgio V) e la rinuncia di suo fratello (Re Edoardo VII) per poter sposare l’amata Wallis Simpson si trova a dover guidare il paese alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Purtroppo il Re soffra da sempre di una grave forma di Balbuzie che gli rende praticamente impossibile parlare in pubblico. Sarà Lionel Logue, un logopedista dai metodi “poco ortodossi” l’unico in grado di aiutarlo.
Titolo Originale: The King’s Speech
Regia: Tom Hooper
Sceneggiatura: David Seidler
Genere: drammatico-storico-biografico
Durata: 111 minuti
Provenienza: Regno Unito / Australia, 2010
Sito web ufficiale: http://www.kingsspeech.com/
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Da osservare con attenzione il modo di comportarsi del logopedista, ottimo esempio di come si accompagna in un percorso di crescita. Potremmo definirlo un educatore tecnicamente molto preparato ma che non si ferma al tecnicismo. A lui interessa la persona che ha di fronte nella sua interezza. Il difetto nel parlare per lui sembra essere non il problema il segno di un malessere, di un dolore che il paziente si porta dentro. Lo vediamo per esempio dall’insistenza con cui chiede a Bertie (ardita – ma assolutamente coerente – la sua decisione di Logue di utilizzare il nomignolo con cui solo i familiari potevano rivolgersi al Duca di York, futuro Re d’Inghilterra) di raccontarsi, di scavare, per capire in che momento è nato il disturbo. Lionel è l’esempio di un educatore che riconosce il suo ruolo, che non ha interesse a guadagnarsi le grazie dell’altro ma che lo vuole aiutare veramente, anche a costo di doversi – momentaneamente – allontanare da lui. Anche quando lo sentiamo parlare di “essere alla pari” in realtà lo vediamo mantenere la prospettiva asimmetrica dell’educatore che accompagna (“mio il castello, mie le regole”). Un educatore che difende il suo ruolo ma che è anche capace di farsi da parte al momento giusto: lo vediamo benissimo dopo il discorso finale, quando Lionel, oltre a farsi da parte fisicamente lasciando che il Re possa ricevere i complimenti per l’ottimo discorso, per la prima volta non lo chiama col nome familiare ma usa un tono decisamente più formale.